Regia: Anthony Russo, Joe Russo. Sceneggiatura: Jack Kirby, Christopher Marcus, Stephen McFeely. Fotografia: Trent Opaloch. Musiche: Henry Jackman. Scenografia: Owen Paterson. Interpreti: Robert Downey Jr., Chris Evans, Anthony Mackie, Martin Freeman, Jeremy Renner, Sharlett Johansson, Don Cheadle, Chadwick Boseman. Produttore: Kevin Feige. Distribuzione: Walt Disney. Origine: U.S.A., 2016.
Captain America: Civil War è la naturale prosecuzione della storyline di supereroi iniziata nel 2008 con Iron Man che ad oggi conta una dozzina di film. Averli visti tutti mette indubbiamente gli spettatori nella condizione di poter cogliere riferimenti, rimandi, battute tra le righe restando sincronizzati con la cronologia narrativa individuale dei personaggi. Avere qualche lacuna, però, non pregiudica il divertimento. Il senso di familiarità ha ormai fatto presa. Ci si sente come al regolare party semestrale con gli stessi invitati. Gli attori brindano nei loro costumi abituali, noi in poltrona con i popcorn. Le aspettative infatti calano rispetto allo standard tecnico, che si sa essere alto, e alle performance, che si sanno essere inappuntabili. Si alzano invece riguardo all’esperienza complessiva, perché stupirsi per venti minuti non è sufficiente. Guai se quel party con gli stessi invitati dovesse produrre sbadigli. E qui si ritorna al primo comandamento che chi fa cinema dovrebbe avere scolpito in fronte: la storia è tutto. La Marvel lo sa da molto tempo e quasi commuove l’intelligenza di questi executive che gestiscono budget sconfinati per produrre intrattenimento su larghissima scala, riuscendo a portare novità e appagamento in un genere cinematografico che sembra si cloni in continuazione.
Civil War è diverso e si candida per essere il miglior film Marvel. La storia accantona momentaneamente gli scenari apocalittici per concentrarsi sulla faida interna.
Chris Evans e Robert Downey Jr. rappresentano le due facce della stessa moneta americana, che guardano verso strade differenti per raggiungere gli stessi obiettivi, scegliendo tra ciò che è moralmente giusto e ciò che è convenientemente giusto. Si dà risalto a questione etiche: i supereroi a chi devono rendere conto? Gli effetti collaterali del loro operato, anche se a fin di bene, sono ingenti. Il mondo è salvo, ma sanguinante. Ci vuole un’autorità superiore, possibilmente le Nazioni Unite, che decida quando, dove e come debbano intervenire, un controllo adeguato che possa ridurre le conseguenze delle loro azioni.
Di fronte alla firma del trattano gli Avengers si scoprono fragili. Prevalgono sentimenti personali, rancori, altri scheletri bussano dall’interno dell’armadio. Anche se con i superpoteri, è un qualunque gruppo di lavoro che attraversa una crisi, che lotta per uscirne indenne e inizia a chiedersi dove inizi o dove finisca la democrazia nel proprio micromondo con macroripercussioni. Venire alle mani fa parte dello spettacolo, però la plausibilità dello scontro è saggiamente messa in cassaforte dagli sceneggiatori. Schierati da una parte con Steve Rogers e dall’altra con Tony Stark, i supereroi coinvolti, tra cui Ant-Man e Black Panther, se le suonano nel piazzale di un aeroporto evacuato. Un villain c’è, e anche lui è agli antipodi rispetto ai temibili e sovrumani Loki e Ultron. Ha l’aspetto di una persona normale, un tizio qualunque eroso da sentimenti di vendetta che aleggiano un po’ a turno per tutto il film. E in quanto tale è capace di ordire un fine, lungimirante e diabolico piano. Ciò che scatta immediatamente, invece, è il colpo di fulmine per il ragno di Tom Holland. È bastato che Peter Parkertornasse nelle mani della Marvel per una manciata di minuti per stimolare un entusiastico ritorno di interesse nei confronti di Spider-Man.
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