Regia e Sceneggiatura: Ameen Nayfeh, Fotografia: Elin Kirschfink. Montaggio: Kamal el Mallakh. Musica Faraj Suleiman. Scenografie: Sami Zarour. Costumi: Fairouze Nastas.
Interpreti: Ali Suliman, Anna Unterberger, Motaz Malhees, Lana Zreik, Gassan Abbas. Produttore: May Odeh, Julia Gebauer. Distribuzione: I Wonder Pictures. Origine: Palestina, Giordania, Qatar, Italia, Svezia, 2020.
Premio del pubblico – Giornate degli autori – Festival di Venezia
La famiglia di Mustafa e sua moglie Salwa è divisa dal muro che separa palestinesi e israeliani in Cisgiordania. Lui si rifiuta di accettare il visto di lavoro israeliano per risiedere nella propria terra e così ha scelto di vivere oltre la barriera, separato dalle persone che ama. La situazione mette in crisi la famiglia, ma Mustafa e Salwa fanno di tutto per far funzionare le cose. Un giorno Mustafa viene avvisato che il figlio ha avuto un incidente: l'uomo si precipita al checkpoint israeliano, ma a causa di un problema burocratico gli viene negato l'ingresso. Disperato, chiede aiuto a un contrabbandiere e insieme ad altri passeggeri s'imbarca in un viaggio sulle colline lungo le quali scorre il confine. Un viaggio di chilometri per coprire una distanza idealmente percorribile in appena 200 metri... La geometria insegna che il modo più veloce per unire due punti è tracciare una retta. La vita e la Storia, però, hanno da sempre altre regole, altri piani, e le rette possono spezzarsi di fronte a un muro o diventare linee circonflesse e tortuose che uniscono i punti in maniera imprevedibili.
In Cisgiordania, nelle zone dove scorre la "barriera di separazione" (così la chiamano gli israeliani) eretta a partire dal 2002, capita che due case distanti appena 200 metri siano in realtà separate in maniera insanabile. Solo una luce può unirle: non l'amore reciproco delle persone che le abitano, né tantomeno la politica, che da decenni non riesce, non può, non sa o non vuole risolvere un problema che insanguina una terra, affligge un popolo e crea uno stato di guerra permanente.
Ameen Nayfeh, regista palestinese al primo lungometraggio, ha racchiuso la realtà di uno dei luoghi simbolo della conflittualità contemporanea nello spazio minimale occupato da una famiglia palestinese - padre e nonna da questa parte del muro, madre e figli dall'altra, nel territorio d'Israele - e lo ha allargato alle alture oltre le città, agli spazi pattugliati dall'esercito israeliano e attraversato da trafficati e coraggiosi semplici cittadini. La metafora è evidente, fin ovvia, e illustra il paradosso di due nazioni che condividono lo stesso territorio, divise però da rapporti di forza sbilanciati. I palestinesi, popolo sconfitto, diseredato, disunito, sono costretti a vivere fuori dalla realtà, o meglio ancora in una realtà surreale, in cui la geometria è surclassata dalle leggi degli uomini.
Se nel romanzo "Una cena al centro della terra" dello scrittore americano Nathan Englander uno dei tanti tunnel che scorrono sotto la Cisgiordania diventava un ideale punto d'incontro fra nemici, in 200 metri Nayfeh resta sopra la terra e alla luce del sole e sceglie di aggirare il muro. Il film si fa così portatore di un grido e di una richiesta disperata: come è possibile salvare il diritto al libero movimento, all'amore e all'accudimento, quando le leggi lo impediscono?
200 metri è fin troppo didascalico nel suo intento: la trama impone da subito una situazione paradossale e innesca il classico viaggio dell'eroe per metterla in discussione. Grazie a questa intelligibilità, però, soprattutto quando Mustafa incontra personaggi simbolici (i due europei desiderosi di filmare le tensioni dell'area, l'israeliano sotto mentite spoglie...), il film riesce a sintetizzare un processo storico intricato e complesso, eppure così evidente da essere paradossalmente riconducibile a una traccia narrativa molto semplice: 200 metri, cioè la distanza di uno sguardo, di un saluto, di una luce accesa come segnale, possono diventare una distanza infinita, impossibile da compiere. Le barriere possono essere visibili e invisibili e solo il cinema può superarle, accettando di entrare nel regno dell'immaginazione per sconfiggere la Storia.
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