Regia e Sceneggiatura: Celine Song. Fotografia: Shabier Kirchner. Montaggio: Keith Fraase. Scenografia: Amy Beth Silver. Musiche: Daniel Pemberton. Costumi: Katina Danabassis. Interpreti: Pedro Pascal, Chris Evans, Dakota Johnson, Marin Ireland, Sawyer Spielberg, Lindsey Broad, Eddie Cahill.
Produttori: Christine Vachon, Celine Song. Distribuzione: Eagle Pictures. Origine: Finlandia, U.S.A. 2025.
New York City, oggi. Lucy è una "combina coppie": il suo lavoro è quello di abbinare fra di loro i single in base a determinati parametri, che hanno a che fare prevalentemente con la condizione socio-economica e l'appetibilità fisica delle due persone coinvolte. Durante la festa di matrimonio di una coppia formata da Lucy la donna rivede John, l'uomo con cui aveva condiviso una grande storia d'amore ma che ha lasciato perché, da attore squattrinato, lui non poteva darle le comodità che lei esigeva - e infatti al matrimonio fa ancora il cameriere. Nella stessa circostanza, seduta al tavolo dei single, Lucy si imbatte anche in Harry, che secondo i suoi parametri professionali è "un unicorno": super ricco, affascinante, educato, spiritoso e intenzionato ad avere una relazione seria. Da quel momento Lucy sarà divisa fra due uomini che rappresentano per lei anche due possibilità opposte di futuro. Material Love è l'opera seconda della regista coreano-canadese Celine Song, drammaturga il cui film di esordio, Past Lives, è stato un successo inaspettato e pluripremiato, e che sembra intenta a specializzarsi in triangoli amorosi incentrati su scelte esistenziali, e ambientati in una New York come avamposto socioculturale. Così come in Past Lives al centro, più che l'amore, c'era la nostalgia per la strada non intrapresa, in Material Love l'amore è meno importante del valore che ognuno dà a sè stesso attraverso le proprie scelte sentimentali. Il "dating" viene rappresentato come un mercato in cui si acquista o ci si mette in vendita in base ad una serie di parametri quantificabili: reddito, proprietà immobiliari, ma anche altezza in centimetri, peso in chili, numero di capelli rimasti, età anagrafica, elenco di pretese. Gli incontri che Lucy fissa per i suoi clienti sono in realtà trattative commerciali funzionali a definire il proprio e altrui valore di mercato, che nel 2025, secondo Song, coincide con quello esistenziale.
Lucy diventa così una contabile delle relazioni, ma deve anche improvvisarsi psicologa pronta a consigliare i suoi clienti (soprattutto donne) su quanto possano richiedere e quanto invece debbano accontentarsi, sempre in termini di percentuali quantificabili. Song ci presenta la sua protagonista come una vincente impeccabilmente abbigliata, sicura di sé e ammirata dalle colleghe e dai clienti, ma anche come una figurina rigida e triste che attraversa la sua vita con disincanto e una palpabile dose di amarezza. In profondità, ciò che la fa camminare come un burattino è la vergogna che prova per aver impostato le sue scelte personali sul parametro del materialismo spiccio, e averne poi fatto una professione.
Questa impostazione è molto interessante, così come lo sono le tematiche che Song mette sul piatto: niente di nuovo sotto il sole, intendiamoci, e infatti Material Love inizia con un prologo che vede due cavernicoli giurarsi eterno amore (senza parole), ma potrebbe anche mostrare gli stessi due litigare per chi porta a casa la cacciagione. Ma è vero che il tempo presente accentua l'aspetto materialista delle relazioni, e allarga il divario fra chi - soprattutto in una città costosa come New York - privilegia il benessere economico alla crescita personale. Song inquadra spesso i suoi personaggi da una distanza entomologica proprio perché fa di loro le cavie di un esperimento sociologico che riflette la deriva merceologica di una nazione, attualmente incarnata dal suo stesso presidente.
Material Love ha un taglio profondamente conservatore e spesso stereotipato, in primis nel dare per scontato che le clienti di Lucy puntino tutte a sistemarsi con un uomo che le mantenga nel lusso e i clienti alla scopata con una modella ventenne. Qui non siamo ai tempi di Jane Austen, in cui la sopravvivenza di una donna era legata indissolubilmente ad un matrimonio ben riuscito dal punto di vista economico. E non si capisce perché la stessa Lucy, che ha un lavoro ben retribuito, non possa semplicemente scegliersi un uomo che le piace invece che continuare a mirare al miliardario. Questa visione retrograda delle relazioni ha probabilmente una base documentaria, ma è veramente deprimente dal punto di vista della (mancata) evoluzione dei rapporti fra i sessi. "L'amore è facile perché non possiamo farci niente", dice Lucy, che è un po' come smarcarsi dalla sindrome del control freak, ma anche un modo di deresponsabilizzare le proprie scelte adulte.
In realtà il tema davvero interessante e contemporaneo che emerge in filigrana è quello della morte, ripetutamente nominata en passant, come un rimosso freudiano: si parla ripetutamente di obitori e di cadaveri, senza mai creare il collegamento fra certe ossessioni e la paura del proprio trapasso, e di aver trascorso inutilmente il poco tempo a noi concesso. E questo è il modo in cui viene raccontato anche il corpo, non solo femminile, come campo di battaglia, investimento socio economico e oggetto di mortificazione personale, ennesimo parametro di valore di mercato deperibile proprio in funzione del suo inevitabile destino finale.
Altro tema molto attuale è la differenza fra percezione e realtà, fra ciò che crediamo di desiderare e ciò che veramente vogliamo: una dispercezione che, sembra dire Song, è indotta dalla società dell'immagine, in cui ognuno cerca di apparire migliore di quello che è, il che altera artificialmente le aspettative di tutti su ciò che si dovrebbe essere (o almeno sembrare).
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