Master and Commander Una serie di scontri infiniti tra navi. Una marea di effetti speciali. Un’esaltazione di eroi dell’acqua. Ecco, tutto questo non lo vedrete in Master and Commander, un’opera che dimostra come sia possibile per un regista australiano fare film personali con i soldi degli studios americani. E, quasi sempre, avere successo. Perché Peter Weir è uno schiaffo in faccia a chi dice che ormai da Hollywood non può uscire nulla di buono, perché tanto è tutto un business. Sarà anche vero che i soldi hanno la priorità su tutto (peraltro, per quella che è un’industria non è certo una bestemmia), ma chi vieta di fare film belli e di successo?
La verità è che è sempre più difficile trovare registi e sceneggiatori in grado di inserire una loro visione personale in film con budget altissimi e che portano i più deboli a diventare degli yes men per non farsi schiacciare dalla pressione. Weir invece non gioca secondo il manuale, anzi l’imprevedibilità è la dote maggiore di Master and Commander. Dopo il primo, violento, scontro tra le due navi, ci si aspetterebbe una successione di battaglie ininterrotta. Decisamente no. Così come non si può certo pensare che un film costato 135 milioni di dollari (ma c’è chi parla di 150) utilizzi per più di due ore un linguaggio tecnico comprensibile solo a Paul Cayard o che mostri degli adolescenti (per non dire bambini) impegnarsi ed essere trattati sulla nave come adulti (pensavate che i bambini fossero utilizzati solo nelle fabbriche in quel periodo?). Qualcuno ha paragonato questo lavoro a quelli di Kubrick e, in effetti, anche qui si ha l’idea di un film che cresce e cambia sul set, come capitava per i capolavori del maestro americano.
C’è di più. Weir non si fa problemi ad essere sgradevole e poco conciliante con lo spettatore. Non si tratta solo di far vedere delle operazioni chirurgiche decisamente per stomaci forti (siete avvertiti), ma anche di consegnare tutto il film ad un personaggio complesso e difficile. Il capitano Jack Aubrey è infatti sì pronto a premiare i più meritevoli, ma anche disposto a punire l’equipaggio senza pietà quando sbaglia. E, soprattutto, disposto a non scendere a compromessi quando si tratta di prendere decisioni estreme, anche quando si tratta di andare contro la volontà dei suoi uomini. Peccato che Russell Crowe non sia perfettamente in parte e un po’ troppo gigione, come se si aspettasse talvolta di essere in film cappa e spada tout court. Per fortuna, l’accoppiata con Paul Bettany (che interpreta il medico di bordo) è decisamente efficace e nettamente superiore alla loro precedente esperienza in A Beautiful Mind. Uno è deciso, istintivo e pronto a prendere sul serio anche la superstizione quando serve; l’altro è fedele alla scienza, razionale e più diplomatico.
Ma i meriti di Weir non finiscono qui. Il regista mostra una grande abilità nel rappresentare visivamente le idee e le ossessioni dei personaggi, che si tratti di un modellino di una nave o di un insetto. Ma soprattutto, merito per il quale andrebbe ringraziato ininterrottamente per secoli, non lascia spazio ad un montaggio frenetico e incomprensibile, che ormai negli ultimi anni sembra obbligatorio per le scene di battaglia. E questo senza voler essere austero ed ascetico. Non mancano infatti le immagini mitiche (Crowe legato al bordo della nave a tutta velocità, non a caso uno dei simboli promozionali del film), così come gli improvvisi squarci di poesia (come alle Galapagos, dove sembra di rivedere Picnic a Hanging Rock).
Ma ora, quello che si chiederanno molti è: Master and Commander è un rivale agli Oscar per Il ritorno del Re? Non è difficile pensare al film di Weir come il vero antagonista de Il Signore degli Anelli.
Sceneggiatura: John Collee, Peter Weir. Fotografia: Russell Boyd. Musiche: Richard Tognetti, Iva Davies, Christopher Gordon. Montaggio: Lee Smith. Interpreti: Russell Crowe, Edward Woodall, James D''Arcy, Paul Bettany, Chris Larkin. Origine: Stati Uniti, 2003.