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scheda Film
MAGDALENE

MAGDALENE

di Peter Mulan
con Geraldine McEwan e Anne-Marie Duff

Genere: Film
Durata: 119'
CAST TECNICO ARTISTICO Sceneggiatura e Regia: Peter Mullan Fotografia: Nigel Willoughby Scenografia: Mark Leese Costumi: Trisha Biggar Musica: Craig Armstrong Montaggio: Colin Monie Prodotto da: Francis Higson per \par Scottish Screen, The Film Council, The Irish Film Board (G. B., 2002) Durata: 100' Distribuzione cinematografica: Lucky Red PERSONAGGI E INTERPRETI Sorella Bridget: Geraldine McEwan Margaret: Anne-Marie Duff Rose: Dorothy Duffy Bernardette: Nora-Jane Noone Crispina: Eileen Walsh Una: Mary Murray Attore nei film di Loach (ma anche in Trainspotting), vincitore come regista alla Settimana della Critica della Mostra del cinema di Venezia nel 1999 (ritirò il premio indossando un kilt), Peter Mullan ha la faccia di un rissaiolo da pub e un sorriso contagioso. Non ce lo immaginavamo a raccontare una storia tutta al femminile che apre un raccappricciante spiraglio sulla repressione della società e della cultura cattolica in Irlanda. Invece con Magdalene (vincitore del Festival di Venezia 2002 ) ha fatto un film in cui la materia sconvolgente di cui racconta non gli impedisce di mettere in luce doti di regista di insospettabile tecnica e coriacea personalità. A cominciare dalla prima, bellissima, sequenza, nella quale, durante una cerimonia nuziale e sul sottofondo di una chiassosa giga, racconta in una manciata di inquadrature e primi piani, lo stupro di una giovane donna e le reazioni sconcertate di familiari e genitori, che decideranno del suo destino. Non un battuta di dialogo, solo un inferno di cornamuse e lo scandalo e il disonore che si trasmettono su una catena di volti come onde su uno stagno. Grande. Il resto, non è meno incisivo. Finite tra le grinfie delle sorelle di Maria Maddalena, una comunità di ragazze perdute (sesso fuori dal matrimonio, gravidanze indesiderate, seduttività adolescenziale), si ritrovano recluse dalla famiglia in un istituto di penitenza e redenzione, i cui metodi gente come Himmler avrebbe trovato straordinariamente inventivi e stimolanti. Proibito parlare, diventare amiche e soprattutto reclamare il minimo diritto. Se si tenta di scappare c'è il pestaggio (è lo stesso Mullan, nelle vesti di un padre dispotico, a dare il buon esempio in una scena), qualsiasi cenno di difesa è scambiato per ribellione e punito con la frusta, per le più indifese c'è anche la corvée di fare qualche servizietto al parroco in trasferta. Secco, nodoso e privo di qualsiasi solidarietà alle sue protagoniste che l'autore serva loro senza lo sdegno per l'infermità biologica e psichica, per la schiavitù catatonica alla quale sono costrette praticamente a vita - almeno che qualche congiunto avveduto non le riscatti - il film trae origine da un documentario di Channel Four in cui alcune superstiti raccontavano cosa accadeva nelle lavanderie di Maria Maddalena negli anni Sessanta in cui vi incapparono (ma l'ultima è stata chiusa nel 1996). Una riesce dopo 4 anni ad essere tirata fuori da un fratello non lobotomizzato, due scappano avventurosamente, un'altra muore in manicomio. Tutto vero, assurdo e odioso, così è stato per migliaia di donne fino a qualche anno fa. Mullan ha mano felice anche nella fotografia (di Nigel Willoughby) che riprende certi toni caldi e saturi, certi marroni e verdi tipici della cartellonistica ma anche dei filmini familiari dell'epoca (come si vede in una scena), nella scelta delle attrici e soprattutto in quella delle suore aguzzine tra le quali spicca Geraldine Mc Ewan, che ha tanto Shakespeare alle spalle da permettersi sferzate di impassibile sadismo con un sorriso da bimba birbona sul volto pio. Come sempre accade in ogni lager, sotto qualsiasi dio o dittatore, la prima regola è annullare le vittime, ancor prima che eliminarle. In una sequenza impressionante, le recluse sono denudate e oggetto di uno scherno che nelle intenzioni delle suore carnefici dovrebbe addirittura suonare affettuoso (chi ha il sedere più grosso e le tette più piccole e il pube più peloso?). Grande e sconvolgente anche questa. Da questo punto di vista Mullan, è efficace come uno scrittore d'eccezione, una sorta di Primo Levi celtico (ma anche scozzese), che illumina nuovi antri della umiliazione ancora sconosciuti ai nostri occhi. (Mario Sesti)

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