Regia: Giovanni Veronesi Sceneggiatura: Ugo Chiti, Filippo Bologna, Ernesto Fioretti, Giovanni Veronesi. Montaggio: Patrizio Marone. Fotografia: Fabio Cianchetti. Musiche: Elisa. Costumi: Gemma Mascagni. Scenografia: Tonino Zera.
Interpreti: Elio Germano, Ricky Memphis, Alessandra Mastronardi, Virginia Raffaele, Ubaldo Pantani, Massimo wertmuller, Maurizio Battista, Francesca Antonelli, Francesca D’Aloja, Matilda Anna Ingrid Lutz, Elena Di Cioccio, Dalila Di Lazzaro, Alessandro Haber, Sergio Rubini.
Produttore: Domenico Procacci.
Distribuzione: Warner Bros. Origine: Italia, 2013.
Durata: 113'.
Ernesto Fioretti, figlio di tappezziere romano, tifoso della Roma, bambino, poi ragazzo, poi uomo e infine anziano per nulla diverso da qualsiasi altro italiano della sua età, attraversa 30 anni di storia del paese tra fatti personali e sociali: dominio e fine dei socialisti, ascesa berlusconiana, sogni di gloria di amici che non disdegnano di sporcarsi le mani o rifiutano di lavorare, amore sincero per la compagna di una vita e inevitabili malattie.
Per il suo film più audace, dotato di maggiori aspirazioni e nettamente più riuscito, Giovanni Veronesi è partito dal più casuale, umano e popolare degli spunti: la vera vita di Ernesto Fioretti (che appare brevemente nel ruolo del sacrestano), autista suo e di molti altri registi e attori del cinema italiano. Fioretti non ha avuto un'esistenza particolarmente eccezionale (questo è parte della forza della trama), come tutti ha attraversato le diverse fasi della storia italiana, come pochi (o almeno così vuole raccontare il film) ha vissuto gli alti e bassi della propria vita in coincidenza con gli alti e bassi del paese.
Di certo nel raccontare questa vita L'ultima ruota del carro procede con trovate ed espedienti di grana grossa, non vuole mai fermarsi sulle sottigliezze nè è interessato a una ricerca intellettuale sulle molte fasi politiche ed economiche che scandiscono i tempi del racconto (assieme alle partite dell'Italia e le formazioni della Roma, a ribadire una prospettiva assolutamente anti intellettuale). Non vuole operare nemmeno ponderate valutazioni sociologiche nè tantomeno catturare lo "spirito italiano", l'interesse degli autori appare essere umano, un amore sconfinato per gli ultimi e la loro ingenua semplicità, il sentimento principe della tradizione della commedia italiana (specie di quella più ambiziosa) che, cosa rara, stavolta appare sincero e coinvolgente. I semplicismi che da sempre vediamo nel cinema di Veronesi stavolta sono supportati da uno sguardo affettuoso e innamorato delle piccole cose sconosciuto ai precedenti film del regista.
Animato da una straordinaria energia vitale che scaturisce principalmente dal corpo energetico di Elio Germano, protagonista assoluto non tanto per ruolo o minutaggio quanto per capacità di far orbitare intorno a sè qualsiasi altro personaggio e condurre anche le scene più ordinarie con un afflato emotivo non comune, L'ultima ruota del carro vuole fare un racconto sentimentale più che cronachistico del periodo preso in esame, punteggia la trama con riferimenti precisi (dal ritrovamento del cadavere di Moro alle monetine lanciate a Craxi) e cerca di portare in scena in ogni istante ciò che tutto questo potesse significare per le persone più che i fatti.